Spazio

Cinquant’anni fa lo spazio per la prima volta

Il 4 ottobre del 1957 il vettore R-7 Semyorka metteva in orbita una sfera di 57 cm di diametro del peso di 83 Kg Lo Sputnik 1, conosciuto all’interno del programma spaziale sovietico come Prostějšij Sputnik (satellite minimale)

In occasione del 50° anniversario di questo evento che, malgrado il generale disinteresse che circonda l’esplorazione spaziale in questi giorni, ci ostiniamo a considerare epocale, vogliamo commemorare la figura di Sergej Pavlovič Korolëv (Сергей Павлович Королёв) “Glavnyj Konstruktor” – Capo Costruttore – del programma spaziale sovietico. La vita di Korolëv è stata allo stesso tempo emblematica ed unica.

Korolëv nacque a Zhytomyr (attualmente Ucraina) il 12 Gennaio 1907, figlio di un insegnante, nel 1924 terminò la Scuola professionale per l’edilizia di Odessa. Nel 1927 cominciò a lavorare nell’industria aeronautica e, allo scopo di specializzarsi in tale settore, si iscrisse all’Istituto tecnico superiore di Mosca e alla scuola di pilotaggio della stessa città. In un primo tempo si occupò di alianti, creando una serie di modelli sperimentati con successo. Dopo aver preso conoscenza dei lavori di Konstantin Eduardoviè Tsiolkovskij cominciò a interessarsi della costruzione di velivoli con motore a razzo. Nell’ottobre del 1931 si incontrò con Fridrih Arturoviè Cander e insieme a lui partecipò all’organizzazione del Gruppa Izuèenija Reaktivnogo Dvienija (GIRD, Gruppo per lo studio della propulsione a reazione), con sede a Mosca, di cui assunse la direzione alla fine del 1931. L’anno seguente fu uno degli organizzatori del nuovo GIRD, in seno al quale fu realizzato, nell’agosto del 1933, il primo missile sovietico a propellente liquido GIRD 09. Quando, alla fine dello stesso anno, il GIRD e il Gazodinamièeskaja Laboratorija (GDL, Laboratorio di dinamica dei gas) si fusero dando luogo al Reaktivnij naučnissledovatelskijj institut (RNII, Istituto di ricerca scientifica per la propulsione a reazione) Korolëv fu nominato assistente scientifico del direttore di tale organismo e, a partire dal 1934, divenne direttore della sezione velivoli con propulsione a razzo. Nel 1934 apparve la sua prima pubblicazione scientifica, Raketnyj polet v stratosfere (Il volo dei missili nella stratosfera). Negli anni seguenti elaborò una serie di progetti, fra cui quello del missile con ala a geometria variabile tipo 212 e quello dell’aviorazzo RP-318.

Korolëv fu vittima del sistema sovietico che ben si prestava a favorire le carriere di mediocri uomini d’apparato quanto a stroncare quella di persone capaci e intellettualmente oneste. Egli venne denunciato da un invidioso accademico rivale, Valentin Glushko, per sabotaggio antisovietico, l’accusa era quella di aver speso troppe risorse per ricerche “inutili”, danneggiando gli interessi dello Stato. Fu arrestato il 27 giugno 1938, la condanna, praticamente automatica in quegli anni di “purghe” staliniane, fu pesante: dieci anni di lavori forzati in una miniera d’oro nella regione di Kolyma, nell’estremo oriente della Siberia. Dal 1938 al 1941 l’ingegner Korolëv divenuto minatore in un inferno di ghiaccio fu impegnato esclusivamente a sopravvivere. Con il coinvolgimento dell’Unione Sovietica nel conflitto mondiale ogni risorsa fu messa al servizio della produzione militare e così Korolëv fu trasferito in un laboratorio di ricerca per gli scienziati detenuti nei gulag chiamato “sharashka“, controllato dai servizi segreti. Era stato raccomandato dall’ingegnere Andreij Tupolev e, guarda caso, dal suo accusatore Glushko che ben conosceva il valore di progettista di Korolëv e contava di sfruttarne le doti a proprio vantaggio. Korolëv ebbe comunque modo di distinguersi, venne liberato nel ’44 , favorito dal clima politico conseguente alla morte di Stalin nel ’54 ottenne un proprio studio di progettazione (OKB 1 Опытное Конструкторское Бюро – Opytnoe Konstructorskoe Bjuro – Ufficio sperimentale di progettazione) con cui si dedicò allo sviluppo dei missili balistici intercontinentali. Nel 1957 la “giustizia” sovietica lo riabilitò completamente.

Anche Korolëv come Von Braun si trovò a siglare una sorta di patto con il diavolo con i militari: sviluppare missili ad uso militare inseguendo il sogno dello spazio. Fu lui a convincere i recalcitranti dirigenti sovietici e i decisamente contrari militari a impiegare uno dei costosissimi ed ancora sperimentali vettori per il lancio di un satellite artificiale sottolineando le opportunità propagandistiche che ne sarebbero derivate. Il Politburo diede il proprio assenso in modo tutt’altro che entusiastico e Korolëv, in quest’occasione, si espose al pericolo di ritrovarsi ancora nella situazione di essere accusato di “sprecare risorse” e vincere un’altra “villeggiatura” siberiana. Tutti noi sappiamo oggi quale fu invece l’attenzione che l’impresa sollevò in tutto il mondo e quale enorme ritorno in termini di immagine ottenne in quell’occasione l’Unione Sovietica. Paradossalmente questo successo condannò Korolëv all’anonimato. Le paranoiche autorità sovietiche , nel timore che il loro prezioso capo progettista potesse essere rapito o, più verosimilmente, indotto alla defezione vietarono a Korolëv di apparire in pubblico, di firmare con il suo vero nome gli articoli sulle riviste scientifiche, di partecipare a congressi e si rifiutarono per due volte di comunicare il suo nome all’accademia delle scienze di Stoccolma che lo voleva insignire del Nobel. Il disciplinato compagno Korolëv non protestò mai ufficialmente per questo oltraggioso comportamento, nemmeno quando venne a sapere che il suo antico rivale Glushko, a cui era concesso di viaggiare all’estero e di partecipare a congressi scientifici, veniva “ufficiosamente” indicato come il capo progettista del programma spaziale sovietico ma chi gli era vicino testimonia che questa assurda situazione, che appare uscita dalla penna di Kafka, lo amareggiò moltissimo. Al suo inesauribile sforzo progettuale si devono tutti i maggiori successi sovietici in campo spaziale, sua la paternità delle navicelle Vostok e Soyuz. Korolëv morì sotto i ferri per arresto cardiaco durante un’operazione volta ad asportare un tumore maligno ai polmoni il 14 gennaio 1966. Solo con la sua morte, finalmente, il suo nome divenne pubblico e gli vennero tributati funerali di stato, le sue ceneri ora riposano nelle mura del Cremlino accanto a quelle di Gagarin. La sua assenza sicuramente influì nei ritardi e nell’insuccesso finale del vettore N1 da lui progettato che avrebbe dovuto consentire anche ai sovietici l’avventura lunare.

La prossima volta che, volgendo lo sguardo al cielo notturno, vi capiterà di imbattervi nell’ormai familiare luccichio di un satellite che sfreccia da orizzonte a orizzonte, spero avrete un pensiero per quest’uomo che fu capace di continuare a sognare le stelle anche dalla miniera in cui era prigioniero.